Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c 22100 Como
ARBORES ET HERBÆ

mostra tematica interdisciplinare
12 giugno - 15 luglio 2004



Giò Pomodoro
Senza titolo
china su carta - 1963 - cm. 23 x 33


 

GUIDO BALLO
Dal catalogo della Biennale di Venezia, 1962
“Giò Pomodoro”

 

L’idea di una “presenza continua”, che è la vera tematica della scultura di Giò Pomodoro, ha origine in una ricerca non di essenzialità, come è avvenuto nella tradizione plastica, ma del divenire esistenziale, in cui il finito e la struttura organica perdono i limiti. Questa “continuità” è atto, presenza: tende a imporsi come l’apparizione di una sostanza che vorrebbe sfuggire, ambigua, sensuale anche, come superfici di zone inconsce. L’influsso lontano di premesse surrealiste dà risultati nuovi. Ma per chiarirne meglio l’attualità poetica occorre risalire alla prima formazione del linguaggio dello scultore, avvenuta nel clima milanese del segno: Giò, che ha temperamento estroflesso, risolveva il segno, fin dai primi tempi, con plastica ampia, ingrandendo i rapporti. E uno scultore che ha bisogno di partecipare all’espressione coinvolgendo tutto sé stesso, con una corposità sintetica piena. Il segno nelle sue opere diventava massa, si allargava, si appesantiva o tendeva addirittura a sfuggire. Già ha una emotività esuberante, ha bisogno di sconvolgere, di rinnovare, con un inventiva che si vale anche di apporti della poesia contemporanea, da Eliot a Pound, a Joyce. Da queste premesse psichiche era evidente che risolvesse il segno nell’automatismo del gesto: dopo i primi esperimenti nella pura poetica del segno, egli ha inventato immagini dove i frammenti di materie, accostate dal gesto quasi occasionale, vivevano nei rapporti di una loro vita segreta. Anche in queste opere la tendenza è stata antinaturalistica, perché non c’è mai per lui il colloquio con particolari di natura, ma rispondenza agli atti psichici. La sua arte, fin dal primo momento, è di concezione: il gesto assumeva per Già valore di presenza, di partecipazione totale. Ha sentito il fascino del vitalismo, oltre che del segno: ricollegandosi a certi stimoli del futurismo boccioniano, senza più riferimenti oggettivi, ma solo come espansione da forze interne. lngrandendo il segno, la sua scultura tendeva sempre più alle masse e quindi alle superfici: attraverso il vitalismo del gesto, poteva sviluppare così, fin dal ‘58, l’idea plastica di una “presenza continua”. Qui è l’originalità di Giò Pomodoro, che perviene a un linguaggio inedito. Questa volta si può parlare di profili e piani continui: la forma non è chiusa, si muove, si agita, si distende, ed è sempre una grossa lamina, un foglio che diventa massa, che resta presenza, non forma isolata: le cavità si richiamano, creano ombre, sfuggono nei meandri di suggestioni inconsce, passano alla luce, con ambiguità. L’idea è sempre di un piano che si muove, si addentra e non si conclude: quasi frammento di una materia cosmica che vive senza i limiti di una forma, irrazionale nella continuità del divenire. Le più recenti, ampie composizioni - dove il richiamo alla plastica indiana agisce come indiretto, lontano stimolo - fanno pensare anche al taglio, al frammento materico di una sfuggente, arcana divinità ancestrale, a cui ancora l’inconscio tende con ansie di origini, Il fondo surrealista assume così altri sviluppi, in una scultura poeticamente viva: la quale, non bisogna dimenticarlo, mentre suggerisce il divenire di una esistenza continua, pur sfuggendo agli schemi di un’essenzialità con centri compositivi organici, è però fermata nella concretezza plastica. L’idea - come motivo poetico - suggerisce la continuità senza limiti: ma il taglio e la struttura s’impongono con rigore plastico, che resta nuovo.

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