Archivio Attivo Arte Contemporanea
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Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni 5/c 22100 Como
ARBORES ET HERBĘ

mostra tematica interdisciplinare
12 giugno - 15 luglio 2004



Ercole Pignatelli
Vegetazione
acrilico su carta - 2004 - cm. 100 x 70


 

Immagini di un tempo da leggenda
di: Pierre Restany

A che servono le favole oggi, a che serve l'incontro fra pittura e poesia in un universo devastato da tutte le barbarie, da un mondo senza vera speranza umana e soprattutto senza fede profonda nell'umanità, nei valori umani che fanno di noi degli esseri responsabili ma soprattutto aperti, aperti alle motivazioni del cuore, del sentimento e della cosiddetta bellezza? La domanda prende un senso del tutto particolare in questo momento di grande caos che viviamo. A che servono le favole, a che serve l'incontro tra poesia e pittura?
La risposta la troviamo nell'opera di Ercole Pignatelli, uno di questi fanatici fedeli e devoti nella pittura poetica, e questo 1'ha ben visto Raffaele Carrieri, il suo migliore esegeta, quello che ha saputo riflettere forse più da vicino il suo cuore e i suoi sentimenti, pugliese anche lui.
Pignatelli dunque, in un mondo sopraffatto dalla storia, vive nel ritmo e nel tempo della leggenda. La leggenda non fa storia e infatti appare molto spesso paralizzata e debole davanti alla crudeltà della storia. Lo spazio e il tempo della leggenda non hanno il peso specifico delle azioni umane o disumane.
La visione di Pignatelli è una visione senza gravità, senza radici pesanti, senza catene paralizzanti, è una visione libera in quanto liberata dal suo inserimento in una realtà quotidiana fatta di parametri autoriduttivi. Il mondo può autodistruggersi, annichilirsi in tutta una serie di azioni bestiali e selvagge. Ercole Pignatelli continuerà a cantare: le sue masserie, la sua terra, la sua visione della natura, i suoi nudi, le sue composizioni visionarie, e questo canto sarà forse uno degli ultimi rifugi dell'umanità, dell'umanità bella e sana che viene totalmente sfregiata dai fatti di oggi. Bisogna valutare la permanenza di questa disponibilità alla poesia pura in un tempo ove conta ben poco questo tipo di fattori cosiddetti metafisici, trascendentali, metaforici. Mi viene allora un'altra domanda ancora più semplice e più riduttiva della prima. A che servono le metafore, abbiamo sempre bisogno di metafore per sopravvivere, per aiutarci a vivere nella nostra esistenza quotidiana così travagliata? Forse, in un mondo ove l'involuzione generalizzata è un fatto scontato, l'atto totalmente gratuito prende una strada paradossale, autonoma, stimolata dalla sua sola presenza. E certo un paradosso vedere oggi questi paesaggi, queste nature morte poetiche, belle come sono tutte le tentazioni del surreale, belle anche perché sono senza utilità, senza corrispondenze pratiche. È forse bello poter vedere ancora oggi il ripetersi di queste immagini decorative per qualcuno, scenografiche per altri, surreali per altri ancora, e vedere proprio queste scenografie di una realtà leggendaria vivere con la propria autonomia di tempo e di spazio. Tutto è invenzione, tutto è ripetizione nell'invenzione, tutto dunque fa parte di un reale fabbricato a uso d'arte, proprio come le opere uscite dalle botteghe rinascimentali.
E talmente sorprendente vedere oggi questo tempo della memoria proiettato in una mitologia del quotidiano permanente che non possiamo non soffermarci su queste presenze insolite. Come diceva Raffaele Carrieri, Pignatelli finisce sempre col sorprenderci. Siamo confrontati a una realtà sempre rinnovata nella sua mitologia pura. I nudi di Pignatelli non possono essere che i suoi nudi, come le sue nature morte, come i suoi paesaggi, al limite poetico di un surreale quasi naturale nel suo supplemento di verità. La visione di Pignatelli è nella sua condizione leggendaria un po' più vera di natura ed è questo supplemento di verità che dà a quest'opera la più profonda, la più stimolante delle motivazioni operative. Funziona dunque il discorso di Pignatelli al limite della leggerezza, al limite dell'impegno poetico, al limite di una condizione esistenziale e umanista. Umanista, ecco la parola giusta, è vero. Il discorso di Pignatelli è una chiamata all'ordine dell'umanesimo.
Sembrano giochi questi elementi di composizione di un ordine metaforico, infatti valgono ciò che vale la metafora, cioè un gioco d'immagini, una scommessa sul loro significato, sulla loro possibilità di farci sognare e così di aiutarci a vivere. Rimanga aperto il problema: abbiamo realmente bisogno di essere aiutati nel nostro desiderio di sognare? Sarebbe così bello poter pensare che la massima libertà umana risiede nel proprio uso della volontà di sognare. Il sogno dunque come espressione della libertà fondamentale dell'essere. Le proposte visive di Pignatelli sollecitano questo tipo di domanda. Le possiamo negare in questo senso? Allora possiamo considerare le immagini di Pignatelli come la chiave di una lettura alternativa, come un bel libro di immagini o un romanzo d'amore. Queste chiavi spontanee sono elementi liberatori per il nostro stress quotidiano. Sono supplementi di respiro, come boccate di superossigeno da respirare quando l'inquinamento diventa davvero minaccioso. Dobbiamo forse pensare a quest'uso terapeutico della pittura poetica, oggi come oggi. Sono pochi gli esseri sani. Siamo tutti più o meno feriti, vulnerabili, inquinati e certamente non ci basta l'aspirina o la droga per trovare rifugio in qualche paradiso artificiale. I paradisi artificiali li abbiamo a portata di mano nella pittura di Pignatelli e certamente non hanno su di noi gli effetti disastrosi della cocaina e dell'eroina. Ci aiutano però? Sì, se siamo disposti a stare al gioco: ci danno l'opportunità di sognare, sono inviti a un sogno che possiamo assumere al ritmo del presente permanente perché la loro realtà o piuttosto la loro verità, che è una verità più vera di natura, è una verità perenne senza preamboli e senza fine. Pignatelli c'invita a un sogno permanente, a un sogno presente che si pone come la naturale sostituzione al presente reale e vale solo in quanto regge questo tipo di sostituzione. Il dialogo con la pittura di Pignatelli è il risultato di un contratto morale tra lo spettatore e l'autore. La posta in gara è questo sogno permanente. La proposta non fa parte di nessun imperialismo ideologico del pensiero, è solo l'espressione della grande libertà, di una scommessa su quest'incontro tra la pittura e la poesia, un incontro vissuto nella permanenza del presente, e questo presente permanente, la dimensione della leggenda, determina il tempo-spazio o spazio-tempo delle immagini di Pignatelli. Forse il giorno in cui verranno a mancare queste immagini di sogno ne risentiremo l'assenza, un po' come gli ultrasuoni magnetici che si fanno sentire all'orecchio umano quando sono arrivati alla fine della loro emissione nello spazio. Se vogliamo sognare tentiamo di farlo quando è ancora tempo, non troppo tardi.

 

note biografiche

Ercole Pignatelli nasce a Lecce nell'aprile del 1935.

1940 - Nella casa dei nonni materni ricorda di aver ammirato i ricami della nonna Maria, per colore e finezza in tutto simili a dipinti. Nella raccolta del nonno Ercole, chirurgo di fama, vi sono quadri del pittore leccese Michele Massari, che accendono la fantasia del ragazzo. Due anni dopo esegue il primo dipinto a olio: un paesaggio con alberi riflessi in uno stagno.
1045-1946 - Lecce, che durante la guerra non è mai stata bombardata, è un punto di confluenza dei profughi dalla Grecia e dall'Albania. Sopra la casa dei Pignatelli, un immenso terrazzo con muriccioli, inferiate, enormi camini, riserve d'acqua piovana, scale, passaggi che portano ad altri terrazzi, si spalanca un panorama complesso e affascinante. Questo diventa il luogo magico delle prime vere scoperte, visioni che torneranno spesso anche nel lavoro maturo dell'artista.
1050-1953 - Si iscrive all'Istituto d'Arte G. Pellegrini, dove è allievo dello scultore Aldo Calò e del pittore Luigi Gabrieli; con il compagno Bruno Orlandi frequenta lo studio del pittore Lino Suppressa, che nel 1953 presenta la sua prima personale al Circolo Cittadino di Lecce; subito dopo parte per Milano dove, appena giunto, ha occasione di visitare la prima mostra antologica di Picasso a Palazzo Reale.
1954 - I primi tempi del soggiorno milanese sono tutt'altro che facili; gli servono soprattutto le doti del carattere meridionale, indipendenza, capacità di resistenza, desiderio di appropriarsi di una realtà nuova. Prende in affitto una stanza in via Formentini 5, nel quartiere di Brera. Al Bar Giamaica, dove erano assidui pittori, poeti e critici, ha modo di stringere rapporti con Salvatore Quasimodo, Giorgio Kaisserlian, Lucio Fontana, Ugo Mulas, Piero Manzoni, Milena Milani. Conosce il movimento culturale milanese, allora molto fervido, del quale presto si trova a condividere gli interessi di rinnovamento: la sua pittura si apre a colori più squillanti, le figure ricordano ancora le donne del sud. Il gallerista Carlo Cardazzo si interessa a questi personaggi scarmigliati, fulminati come dalla corrente elettrica e posti in ambienti inquietanti e acquista mensilmente varie tele, divenendo così il suo primo mercante. Peppino Palazzoli, collezionista e poi direttore della Galleria Blu, gli commissiona alcuni dipinti. In novembre a Milano vince il Premio San Fedele per i giovani, che gli viene consegnato da Carlo Carrà.
Da questo punto il suo percorso artistico diverrà ricco e appagante di riconoscimenti a livello internazionale.

 

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