Ercole Pignatelli
Vegetazione
acrilico su carta - 2004 - cm. 100 x 70
Immagini di un tempo da
leggenda
di: Pierre Restany
A che servono le favole oggi, a che serve l'incontro
fra pittura e poesia in un universo devastato da tutte le barbarie,
da un mondo senza vera speranza umana e soprattutto senza fede profonda
nell'umanità, nei valori umani che fanno di noi degli esseri
responsabili ma soprattutto aperti, aperti alle motivazioni del cuore,
del sentimento e della cosiddetta bellezza? La domanda prende un senso
del tutto particolare in questo momento di grande caos che viviamo.
A che servono le favole, a che serve l'incontro tra poesia e pittura?
La risposta la troviamo nell'opera di Ercole Pignatelli, uno di questi
fanatici fedeli e devoti nella pittura poetica, e questo 1'ha ben
visto Raffaele Carrieri, il suo migliore esegeta, quello che ha saputo
riflettere forse più da vicino il suo cuore e i suoi sentimenti,
pugliese anche lui.
Pignatelli dunque, in un mondo sopraffatto dalla storia, vive nel
ritmo e nel tempo della leggenda. La leggenda non fa storia e infatti
appare molto spesso paralizzata e debole davanti alla crudeltà
della storia. Lo spazio e il tempo della leggenda non hanno il peso
specifico delle azioni umane o disumane.
La visione di Pignatelli è una visione senza gravità,
senza radici pesanti, senza catene paralizzanti, è una visione
libera in quanto liberata dal suo inserimento in una realtà
quotidiana fatta di parametri autoriduttivi. Il mondo può autodistruggersi,
annichilirsi in tutta una serie di azioni bestiali e selvagge. Ercole
Pignatelli continuerà a cantare: le sue masserie, la sua terra,
la sua visione della natura, i suoi nudi, le sue composizioni visionarie,
e questo canto sarà forse uno degli ultimi rifugi dell'umanità,
dell'umanità bella e sana che viene totalmente sfregiata dai
fatti di oggi. Bisogna valutare la permanenza di questa disponibilità
alla poesia pura in un tempo ove conta ben poco questo tipo di fattori
cosiddetti metafisici, trascendentali, metaforici. Mi viene allora
un'altra domanda ancora più semplice e più riduttiva
della prima. A che servono le metafore, abbiamo sempre bisogno di
metafore per sopravvivere, per aiutarci a vivere nella nostra esistenza
quotidiana così travagliata? Forse, in un mondo ove l'involuzione
generalizzata è un fatto scontato, l'atto totalmente gratuito
prende una strada paradossale, autonoma, stimolata dalla sua sola
presenza. E certo un paradosso vedere oggi questi paesaggi, queste
nature morte poetiche, belle come sono tutte le tentazioni del surreale,
belle anche perché sono senza utilità, senza corrispondenze
pratiche. È forse bello poter vedere ancora oggi il ripetersi
di queste immagini decorative per qualcuno, scenografiche per altri,
surreali per altri ancora, e vedere proprio queste scenografie di
una realtà leggendaria vivere con la propria autonomia di tempo
e di spazio. Tutto è invenzione, tutto è ripetizione
nell'invenzione, tutto dunque fa parte di un reale fabbricato a uso
d'arte, proprio come le opere uscite dalle botteghe rinascimentali.
E talmente sorprendente vedere oggi questo tempo della memoria proiettato
in una mitologia del quotidiano permanente che non possiamo non soffermarci
su queste presenze insolite. Come diceva Raffaele Carrieri, Pignatelli
finisce sempre col sorprenderci. Siamo confrontati a una realtà
sempre rinnovata nella sua mitologia pura. I nudi di Pignatelli non
possono essere che i suoi nudi, come le sue nature morte, come i suoi
paesaggi, al limite poetico di un surreale quasi naturale nel suo
supplemento di verità. La visione di Pignatelli è nella
sua condizione leggendaria un po' più vera di natura ed è
questo supplemento di verità che dà a quest'opera la
più profonda, la più stimolante delle motivazioni operative.
Funziona dunque il discorso di Pignatelli al limite della leggerezza,
al limite dell'impegno poetico, al limite di una condizione esistenziale
e umanista. Umanista, ecco la parola giusta, è vero. Il discorso
di Pignatelli è una chiamata all'ordine dell'umanesimo.
Sembrano giochi questi elementi di composizione di un ordine metaforico,
infatti valgono ciò che vale la metafora, cioè un gioco
d'immagini, una scommessa sul loro significato, sulla loro possibilità
di farci sognare e così di aiutarci a vivere. Rimanga aperto
il problema: abbiamo realmente bisogno di essere aiutati nel nostro
desiderio di sognare? Sarebbe così bello poter pensare che
la massima libertà umana risiede nel proprio uso della volontà
di sognare. Il sogno dunque come espressione della libertà
fondamentale dell'essere. Le proposte visive di Pignatelli sollecitano
questo tipo di domanda. Le possiamo negare in questo senso? Allora
possiamo considerare le immagini di Pignatelli come la chiave di una
lettura alternativa, come un bel libro di immagini o un romanzo d'amore.
Queste chiavi spontanee sono elementi liberatori per il nostro stress
quotidiano. Sono supplementi di respiro, come boccate di superossigeno
da respirare quando l'inquinamento diventa davvero minaccioso. Dobbiamo
forse pensare a quest'uso terapeutico della pittura poetica, oggi
come oggi. Sono pochi gli esseri sani. Siamo tutti più o meno
feriti, vulnerabili, inquinati e certamente non ci basta l'aspirina
o la droga per trovare rifugio in qualche paradiso artificiale. I
paradisi artificiali li abbiamo a portata di mano nella pittura di
Pignatelli e certamente non hanno su di noi gli effetti disastrosi
della cocaina e dell'eroina. Ci aiutano però? Sì, se
siamo disposti a stare al gioco: ci danno l'opportunità di
sognare, sono inviti a un sogno che possiamo assumere al ritmo del
presente permanente perché la loro realtà o piuttosto
la loro verità, che è una verità più vera
di natura, è una verità perenne senza preamboli e senza
fine. Pignatelli c'invita a un sogno permanente, a un sogno presente
che si pone come la naturale sostituzione al presente reale e vale
solo in quanto regge questo tipo di sostituzione. Il dialogo con la
pittura di Pignatelli è il risultato di un contratto morale
tra lo spettatore e l'autore. La posta in gara è questo sogno
permanente. La proposta non fa parte di nessun imperialismo ideologico
del pensiero, è solo l'espressione della grande libertà,
di una scommessa su quest'incontro tra la pittura e la poesia, un
incontro vissuto nella permanenza del presente, e questo presente
permanente, la dimensione della leggenda, determina il tempo-spazio
o spazio-tempo delle immagini di Pignatelli. Forse il giorno in cui
verranno a mancare queste immagini di sogno ne risentiremo l'assenza,
un po' come gli ultrasuoni magnetici che si fanno sentire all'orecchio
umano quando sono arrivati alla fine della loro emissione nello spazio.
Se vogliamo sognare tentiamo di farlo quando è ancora tempo,
non troppo tardi.
note biografiche
Ercole Pignatelli nasce a Lecce nell'aprile del 1935.
1940 - Nella casa dei nonni materni ricorda di aver ammirato i ricami
della nonna Maria, per colore e finezza in tutto simili a dipinti.
Nella raccolta del nonno Ercole, chirurgo di fama, vi sono quadri
del pittore leccese Michele Massari, che accendono la fantasia del
ragazzo. Due anni dopo esegue il primo dipinto a olio: un paesaggio
con alberi riflessi in uno stagno.
1045-1946 - Lecce, che durante la guerra non è mai stata bombardata,
è un punto di confluenza dei profughi dalla Grecia e dall'Albania.
Sopra la casa dei Pignatelli, un immenso terrazzo con muriccioli,
inferiate, enormi camini, riserve d'acqua piovana, scale, passaggi
che portano ad altri terrazzi, si spalanca un panorama complesso e
affascinante. Questo diventa il luogo magico delle prime vere scoperte,
visioni che torneranno spesso anche nel lavoro maturo dell'artista.
1050-1953 - Si iscrive all'Istituto d'Arte G. Pellegrini, dove è
allievo dello scultore Aldo Calò e del pittore Luigi Gabrieli;
con il compagno Bruno Orlandi frequenta lo studio del pittore Lino
Suppressa, che nel 1953 presenta la sua prima personale al Circolo
Cittadino di Lecce; subito dopo parte per Milano dove, appena giunto,
ha occasione di visitare la prima mostra antologica di Picasso a Palazzo
Reale.
1954 - I primi tempi del soggiorno milanese sono tutt'altro che facili;
gli servono soprattutto le doti del carattere meridionale, indipendenza,
capacità di resistenza, desiderio di appropriarsi di una realtà
nuova. Prende in affitto una stanza in via Formentini 5, nel quartiere
di Brera. Al Bar Giamaica, dove erano assidui pittori, poeti e critici,
ha modo di stringere rapporti con Salvatore Quasimodo, Giorgio Kaisserlian,
Lucio Fontana, Ugo Mulas, Piero Manzoni, Milena Milani. Conosce il
movimento culturale milanese, allora molto fervido, del quale presto
si trova a condividere gli interessi di rinnovamento: la sua pittura
si apre a colori più squillanti, le figure ricordano ancora
le donne del sud. Il gallerista Carlo Cardazzo si interessa a questi
personaggi scarmigliati, fulminati come dalla corrente elettrica e
posti in ambienti inquietanti e acquista mensilmente varie tele, divenendo
così il suo primo mercante. Peppino Palazzoli, collezionista
e poi direttore della Galleria Blu, gli commissiona alcuni dipinti.
In novembre a Milano vince il Premio San Fedele per i giovani, che
gli viene consegnato da Carlo Carrà.
Da questo punto il suo percorso artistico diverrà ricco e appagante
di riconoscimenti a livello internazionale.