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Attivo Arte Contemporanea Galleria d'Arte Il Salotto via Carloni
5/c 22100 Como L'uomo Pianta Che non si voglia in genere più
raccontare ai bambini della loro misteriosa nascita sotto una foglia
di cavolo, parrebbe un assunto pedagogico ormai diffuso e radicato nella
nostra cultura. Eppure vi è qualcosa in questa gentile menzogna
che non dovrebbe andare perduto perché non si venga definitivamente
sopraffatti dalla nostra abitudine di essere "separati"; la nostra partecipazione
al grande respiro di "Maya" è ormai relegata alle profondità
dell'inconscio e gode di libertà vigilata unicamente nelle fantasie
notturne. Il tema della genitura legata alla presenza del vegetale,
o al rapporto diretto (riproduttivo) con esso costituisce oggi solo
una narrazione folclorica che ha perduto nel tempo gran parte della
originaria pregnanza. Per comprenderne la vera portata e il senso simbolico
bisogna compiere ricerche, risalendo nel tempo a quei periodi della
storia in cui la critica della conoscenza non impediva la formazione
dei simboli: quando questi, in qualità di visioni, venivano vissuti
quotidianamente come parte integrande della realtà oggettiva.
Una doppia tradizione è legata agli alberi dai frutti zoomorfi:
l'ornamentazione e la leggenda, canali paralleli e differenziati, ne
costituiscono il supporto. Il tema dell'albero della vita si pone all'inizio
di entrambi come immagine del "cosmo vivente" che si rigenera senza
interruzione. Esistono varie versioni arabe dell'VIII secolo, come riferisce
J. Baltrusaitis, relative ad alberi che producono esseri viventi. Una
di queste narra di un meraviglioso vegetale (Wak Wak) posto su una lontana
isola: le sue fronde portano come frutti le teste dei figli di Adamo
che, al sorgere del sole e al tramonto, cantano inni al creatore. Altrove
viene riportato che i frutti sono costituiti da corpi di donna interi
mentre, nella relazione cinese di Tu Yu relativa ad un suo soggiorno
presso gli Arabi nel 751, sull'albero dalle foglie verdi e i rami rossi
sbocciava una folla di bambini; ridevano e si agitavano con i corpi
aderenti ai rami ma se venivano colti si seccavano e divenivano neri.
L'Oriente è ricco di piante che si confondono con la fauna ed
è questo il caso, per portare altri esempi, di alcuni melograni
indù che si diceva producessero uccelli multicolori o alberi
i cui rami caduti prendevano vita e strisciavano come serpenti. In altri
casi è riferita la condizione reciproca, ossia di animali che
possono essere piantati come legumi; è noto il racconto tartaro
che dichiarava possibile far nascere un agnello seminando in terra l'ombelico
di una pecora. Nelle tradizioni tribali primitive troviamo addirittura
come una intera popolazione possa discendere da una specie vegetale.
E' suggestivo il mito indiano che narra di Sumati, sposa del re Sagara
di Ayodhya (contenuto nel Ramayana, poema epico datato attorno
al 300 a.C.) la quale partorì una zucca da cui in seguito nacquero
60mila figli. Altre narrazioni relative a discendenze totemiche sono
riportate da Mircea Eliade come quella degli Antaivandrika, letteralmente
"dell'albero Vandrika" o degli Antaifasi (tribù del Madagascar
come la precedente) che dichiarano avere un banano per progenitore;
molti altri esempi li troviamo anche nel classico Totemismo di
Frazer. Eliade sottolinea la solidarietà intercorrente fra l'uomo
e il vegetale espressa da questi miti come "circuito continuo" fra vegetale
(fonte di vita inesauribile) e livello umano; gli uomini sono soltanto
proiezioni emergenti della stessa matrice vegetale. Dendromorfismo e
antropomorfismo parrebbero diacronicamente ben separati dall'atto della
genitura ma dal punto di vista simbolico costituiscono, per contro,
due aspetti della medesima "natura". "Natura" si badi bene e non "materia"
come precisava Gerardus Dorneus nel suo De transmutationibus metallorum
(in Theatrum chemicum, 1602) a proposito della "pietra filosofale"
contemporaneamente vegetale, animale e minerale. Jung commenta il passo
di Dorneus assimilando la natura arcana della pietra a quella della
"spongia marina" che sanguina, o alla "mandragora" che urla, quando
vengono colte. Questa pietra in qualità di arbor philosophica
cresce anche e si sviluppa enigmaticamente (e qui ritorniamo al nodo
fitoantropomorfico) dal fallo di Adamo o dal capo di Eva come mostrano
due immagini tipo, contenute in un testo del XV secolo, riportate da
Jung in Psicologia e alchimia. L'universale e il particolare
si sovrappongono nella "natura" alchemica, estesa come quella platonica
e comprendente in sé anche gli animalia psichici: mitologemi
e archetipi. Per Jung l'albero filosofico deve essere concepito come
"anthropos" o "Sé". L'albero come uomo è uno dei capitoli
finali del suo Der philosophische Baum e per quanto riguarda
l'albero di vita del Paradiso egli ricorda come una antica idea rabbinica
sostenga che questo sia un uomo. L'albero del mondo come altrimenti
lo definisce René Guénon ha un doppio aspetto eretto e
rovesciato, quando lo si osservi dall'alto piuttosto che dal basso ossia
dal lato del principio piuttosto che della manifestazione. Lo individua
anche, convenendo con Jung, nell'albero parlante che compare rovesciato
nel XXII canto del Purgatorio dantesco, di poco sotto il piano
del Paradiso terrestre e rammenta la visione di Platone (Timeo)
dell'uomo come pianta celeste capovolta. L'albero capovolto affonda
le proprie radici nel cielo traendone origine e si sviluppa stendendo
i rami sulla terra intera come narrano anche le Upanishad indiane
o la dottrina esoterica ebraica contenuta nello Zohar. Guénon
traccia pure un interessante parallelo di omologia morfologico-simbolica,
avviandoci a nuovi livelli di lettura del tema, fra il monogramma costantiniano
e quello salomonico formato da due triangoli equilateri opposti (in
esso i due ternari sono esplicitamente l'uno l'immagine rovesciata dell'altro
e si compenetrano intrecciandosi), l'albero schematico che è
costituito (reversibilmente ai due estremi) da tre rami e tre radici
e il Vajra buddista (arma, fulmine, potenza ed entità propizia
allo sviluppo della vita vegetale. Ma la omologia morfologica segue
anche un'altra strada nella storia dell'uomo-pianta. La similitudine
e il connettersi di elementi vegetali umani è caratterizzata
da intenti di analogia esemplificativa nel campo della medicina come
scrive l'Alciati (Emblemata cum commentariis, 1661) o Julien
Offroy de Lamettrie, irriducibile materialista, nel suo L'uomo macchina
del 1748. Che dire poi degli alberi genealogici o di Giuseppe Arcimboldi
con le sue allegoriche stagioni...? Michele Caldarelli Il Copyright ©
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